“Diritto di critica” è l’iniziativa, promossa e organizzata da Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli e dal quotidiano “La Provincia” di Cremona, con il patrocinio dell’ ANCT (Associazione Nazionale Critici di Teatro) che vede protagonisti gli studenti delle scuole superiori cremonesi nelle vesti di giovani critici. I ragazzi hanno seguito e recensito gli spettacoli di prosa della stagione cremonese 2014/2015. Di volta in volta le recensioni sono state pubblicate sul sito del quotidiano e su quello del teatro. In chiusura di stagione – nei giorni scorsi – le recensioni migliori sono state premiate, in una cerimonia svoltasi al Teatro Ponchielli di Cremona, presente il vicepresidente ANCT Enrico Marcotti, con la pubblicazione sull’edizione cartacea del quotidiano. Gli autori delle recensioni premiate hanno ottenuto un abbonamento gratuito al quotidiano e un abbonamento alla prossima stagione di prosa del Ponchielli, oltreché la pubblicazione sul nostro sito delle recensioni vincitrici. (Nicola Arrigoni)
SOFIA RAGLIO- 4 LICEO MANIN
Il 7 e l’8 febbraio il Teatro Ponchielli si è riempito più che mai di un pubblico ancora una volta richiamato da un grande nome del teatro italiano, Michele Placido, attore protagonista e regista insieme a Francesco Manetti di un, nelle intenzioni, innovativo Re Lear. L’opera, non tra le più conosciute ma di certo una delle più interessanti della produzione shakespeariana, ruota attorno alla tematica del contrasto generazionale
con padri che nel cedere ai figli la loro eredità sono incapaci di farsi da parte e lasciare che, a creare un nuovo ordine, siano le giovani generazioni, per quanto un po’ superbe. Forse inconsapevolmente, la trama si è dimostrata un’ottima metafora dello spettacolo e del teatro di Placido. Una seconda parte azzardata, ma di certo più ragionata, si fa largo sul palco dopo l’intervallo, tentando di emanciparsi da una recitazione melodrammatica e poco credibile. L’enfasi che tanto trascina il pubblico nella commozione, penalizza un testo dagli spunti più che interessanti, che si trova relegato a un secondo piano sfumato, in cui nemmeno si distinguono in modo definito i contorni della vicenda, che risulta in alcuni passaggi poco chiara. Una semantica improntata ad un’arida e macinata provocazione, non fa che accrescere la sensazione di un’opera un po’ pacchiana, che non vuole conformarsi alla tradizione, ma nemmeno cedere il passo a un linguaggio innovativo, risultando nel complesso confusa e di poco gusto. Placido, re capriccioso del palco, costringe attori talvolta talentuosi dietro maschere superate, di un teatro che punta sulla finzione anziché sulla realtà, stringendo col pubblico un patto ammiccante, fatto di piccoli coinvolgimenti, portati avanti in modo discontinuo dai personaggi. Restano alcune scene molto suggestive e argomenti trattati con delicatezza, oltre che attori carismatici e idee discrete di attualizzazione di tematiche senza tempo, che sono purtroppo interessanti miniature in una struttura complessivamente poco riuscita. Forse un po’ più di fiducia negli eredi e una minor ricerca del favore di un pubblico non più al passo coi tempi, legato più all’abitudine che alla ricerca, avrebbero salvato un’opera con potenzialità dalla tragedia.
ELISABETTA SGORBATI- 3 LICEO VIDA
Eccessivo, misogino, sfrontato, folle, egocentrico, travolgente in una parola geniale. Questo è Filippo Timi nel suo Don Giovanni la cui immagine occhieggia all’ingresso del Ponchielli, lasciando presagire uno spettacolo fuori dagli schemi e non si smentisce! La scena si apre in una stanza dal pavimento di plexiglass , atmosfere che ricordano 2001 Odissea nello spazio ed Arancia meccanica, un uomo in giarrettiera e scarpe di vernice con il tacco gioca con un aeroplanino elettrico dopo una notte in cui ha sedotto due fanciulle. Il primo impatto è quello di un non-luogo, astratto ma reale in cui quinte mobili dorate come carta di cioccolatini diventano candide e il pavimento si colora di una luce abbagliante. Timi distrugge il testo scritto ( Moliere e Da Ponte) ed il suo personaggio emerge dal profondo come un altro se stesso, attuale e senza tempo, caricato di humor nero. Ha compreso la lezione di Carmelo Bene:’ Don Giovanni è arte fatta a pezzi, musica a brani. Don Giovanni è un trattato sulla morte…’ L’anima di Don Giovanni è il suo costume e da questa definizione, Zambernardi ha creato dei vestiti appariscenti e glam, multicolori, plastificati ed ingombranti che non nascondono l’anima dei protagonisti ma la mettono a nudo. L’immaginario barocco si fonde con il kitsch assoluto: i cappotti sfoggiati dal protagonista diventano sempre più eccentrici, fatti di fiori, vestiti e parrucche delle donne sedotte fino al comparire con una mutanda glitterata. Ammalia con “un umile cappottino” fiorito di rose ed a conquista terminata indossa un abito con gli amabili resti delle sue donne . Timi non si risparmia incarnando fino al midollo il suo personaggio, oltrepassando i limiti del palco e dirigendosi in platea per baciare qualunque donna lo voglia. E qui il delirio delle spettatrici di qualunque età nell’accettare la proposta! Le musiche variano da ‘ Ridi Pagliaccio’, a Bohemian Rhapsody , da ‘Missing you’ dei Black Eyed Peas colonna sonora del balletto con spogliarello del protagonista fino a Mila e Shiro. Anche i filmati di Youtube demenziali e apparentemente incongruenti, rappresentano degli stacchi netti, che contestualizzano il tutto. Don Giovanni preferisce morire piuttosto che pentirsi e si dissolve in una nuvola di coriandoli luccicanti fagocitato dalle sue donne-Baccanti, in una sorta di contrappasso.
MARCO PINI – 5 LICEO J.TORRIANI
“L’importante è non cadere dal palco lezioni di teatro” è lo spettacolo di Paolo Rossi proposto al teatro A. Ponchielli martedì 10 marzo: lo spettatore si trova davanti ad un palco spoglio, apparentemente congelato in un limbo fra l’allestimento e il disallestimento, incapace di rubare la scena, quando entrano i tre musicisti: Emanuele Dall’ Aquila voce e chitarra, Alex Orciani alla fisarmonica e Stefano Bembi al contrabbasso che salutano il pubblico e accolgono il comico protagonista sulle note di My sharona. Comincia così quello che è uno spettacolo di intrattenimento estremamente divertente, a tratti surreale, volto alla complicità fra attore e spettatore, che sono tanto lontani quanto vicini. Paolo Rossi ci racconta e ci trasmette ciò che è l’essere comico e attore attraverso esperienze, aneddoti, battute e tramite una trasparenza frutto di onestà intellettuale che lo porta a condividere se stesso e la sua carriera. Non si tratta tuttavia di un monologo volto all’autocelebrazione ma della trasmissione di un’esperienza che l’attore volentieri cede al pubblico coinvolgendolo in più momenti e che grazie ad abilità acquisite col tempo, lo rende parte integrante dello spettacolo. L’importante è non cadere dal palco è dunque un varietà che si plasma sul pubblico presente a cui è permesso interagire arricchendo quello che è un testo apparentemente semplice e lineare che cela però un’infinità di richiami e collegamenti capaci di valorizzare le competenze anche comiche dell’autore. La leggerezza con cui passano i 90 minuti, divisi in due tempi da una breve pausa già contrattualizzata con il pubblico dall’attore, senza alcun sipario che segni una divisione fisica e temporale tra i due piani del teatro, regala allo spettatore le risate attese ma anche, e soprattutto, l’uomo che è anche attore e controparte di se stesso, in grado, attraverso il palco, di passare oltre la realtà verso quell’ ignoto mondo dove tutto torna… Rossi racconta Rossi potrebbe essere un titolo alternativo per uno “show” in cui sfodera i sui pezzi migliori e celebra gli amici e i compagni di una vita che gli hanno permesso di essere e diventare ciò che è oggi.
CRISTINA MORRA- 5 LICEO SCIENTIFICO
Politica e mass-media, due mondi che non provano vergogna a scendere a compromessi, che esaltano l’inutile e il superficiale, due mondi che nascondono dietro parole e sorrisi la verità dei fatti, che peccano, in egual modo, di arroganza e che pensano di poter andare oltre ciò che è loro concesso: sono temi molto attuali quelli portati in scena da Ferdinando Bruni e Elio de Capitani con Frost/Nixon (30 gennaio al teatro Ponchielli), una pièce teatrale incentrata sul famoso confronto – o sarebbe meglio definirlo scontro- tra il giornalista inglese e l’ex-presidente americano, conclusosi con la confessione di quest’ultimo del suo ruolo nello scandalo Watergate. Una rappresentazione rapida della tortuosa vicenda, un’ inchiesta giornalistica sotto le spoglie di uno spettacolo televisivo – o forse sarebbe meglio definirlo uno spettacolo televisivo sotto le sembianze di un’inchiesta giornalistica? -, dei retroscena della realizzazione del programma, delle interviste e della preparazione dei due contendenti: media e politica, due realtà tanto simili, in questa occasione si affrontano senza esclusione di colpi e tra i due che ne fanno le veci uno solo ne uscirà vivo, a uno toccheranno le luci della ribalta, all’altro il ritiro forzato dalla scena. Nessuno dei due personaggi, tuttavia, può essere interpretato come l’eroe della situazione, entrambi sono mossi dallo stesso ignobile e tracotante istinto di ambizione personale. Nonostante la sapiente costruzione delle varie scene, ottenuta con un taglio cinematografico dato alla loro successione e con una scenografia essenziale –con delle semplici sedie e pochi altri oggetti di scena si spazia dallo studio televisivo ai convegni presidenziali, dalla stanza d’hotel in America all’aereo dall’Australia e così via –, la lunga durata e la densità dei fatti che hanno caratterizzato la vicenda reale si infrangono duramente con i limiti dell’ambiente teatrale e così momenti di tensione vengono accolti con ironia, passaggi chiave appaiono frettolosi e banali e la risoluzione arriva così velocemente da lasciare un senso di sgomento nelle mani dello spettatore. Rimangono però da apprezzare le grandi interpretazioni di Bruni/Frost e de Capitani/Nixon e il loro coraggio nel portare in scena qualcosa che rompa con i soliti schemi della tradizione, un accenno di novità.
VIRGINIA FIAMENI -1 LICEO SCINTIFICO ASELLI
Brividi al Ponchielli con Paolini
“La vita è fatta di periodi che hanno un inizio, una fine e non si ripetono più”. Ma questi periodi rimangono come cicatrici sulla pelle. Esperienze estreme, estenuanti, dove la natura gioca un ruolo fondamentale nel mettere a dura prova quell’essere possente quanto fragile che è l’uomo. È questo il destino riservato ai personaggi di Jack London che si ritrovano a vivere in un ambiente ostile come il gelido grande Nord America. Nel suo monologo Paolini visto al Ponchielli è più che un semplice narratore, entra nelle storie e le fa sue, percepisce il freddo del vento sulla sua pelle, crea un’atmosfera gelida che porta gli spettatori a rimanere quasi congelati ad ascoltarlo grazie anche al meraviglioso aiuto delle musiche di Lorenzo Monguzzi. Non manca certo il lato comico dell’ interprete che inframezza il racconto con battute e aneddoti che sembrano quasi riscaldare il clima venutosi a creare. In questi racconti è come se i personaggi venissero guardati da un’altra prospettiva, da occhi diversi, gli occhi di un cane. Un cane che ha un’intelligenza sopraffina,come nel caso di Macchia che compare nel primo racconto, un cane che lotta e che odia, che si rispecchia in Bastardo presente nella seconda storia, o un cane che segue, che obbedisce nonostante il suo istinto gli dica tutt’altro, istinto che all’uomo manca. Ed è proprio sul rapporto tra l’uomo ed il cane che si basano questi scritti. Uomo e cane sono coprotagonisti delle vicende tanto da permettere a Paolini di passare alterantivamente dal punto di vista dell’uomo a quello del cane. In Bastardo ad esempio la narrazione perdura dopo la morte dell’uomo fino a quando il cane sente, ma non vede, il colpo di fucile che mette fine alla sua esistenza ed al racconto stesso. In preparare un fuoco l’uomo che ha voluto sfidare la sorte ed affrontare il gelo, ne viene sopraffatto, egli infatti muore, il cane assiste a questa resa e se ne allontana. Evidente appare quindi che Paolini abbandona il pensiero dell’uomo per far emergere definitivamente quello del cane. Come egli stesso dichiara ”se posso raccontare la morte dell’uomo è perchè io, in tutte queste storie, sono sempre stato il cane”.
PIETRO DIGIUNI – 2 LICEO SCIENTIFICO
Martedì1 marzo è andato in scena lo spettacolo “Pantani”. Appena venuto a conoscenza della durata dello spettacolo, quasi tre ore e trenta, mi sono spaventato, ho pensato che sarebbe stato troppo lungo e che, nonostante le argomentazioni fitte ed interessanti, avrebbe regnato la noia. Per la gioia degli spettatori non è stato affatto così: la compagnia, infatti, ha saputo mettere in scena una tragedia facile da seguire anche per chi, come me, del ciclista in questione sapeva ben poco. La compagnia ci illustra la” passione” di Marco Pantani, dalla sua infanzia alla sua morte, sotto forma di intervista-indagine da parte di un giornalista presente sulla scena. Tutta la vita del ciclista è vista dall’ esterno, da punti di vista differenti in confronto a quelli mediatici, da quello familiare, con la presenza della famiglia del pirata sul palcoscenico (nella quale spicca la figura tragica della madre), da quello giornalistico e da quello delle amicizie di Pantani. Questi punti di vista ci accompagneranno per tutta l’ opera facendo un excursus biografico del pirata. Lo spettacolo, nonostante la durata, risulta veramente godibile: l’ alternarsi di dialoghi con la famiglia, con gli amici del ciclista e degli sketch, illustra le congetture contro il pirata, denunciando il processo mediatico fatto contro di lui che lo hanno portato alla depressione ed alla morte. Lo spettacolo è interessante e ben fatto, il duplice scopo di biografia e denuncia portano lo spettatore a riflettere sui processi mediatici e sui maneggiamenti presenti anche all’ interno di uno sport come nobile come il ciclismo. L’ unica pecca dello spettacolo è il coretto lagnoso che spesso viene utilizzato nelle scene le quali, nonostante annoi non indifferentemente, contribuisce al lato tragico della storia. Concludo dicendo che questo spettacolo, sul palco dal 2012, può essere rivolto sia agli appassionati del ciclista che ai totali sconosciuti poiché la biografia vien raccontata nei dettagli, ma nel mentre prevale il tema di denuncia ed inchiesta.