L’incontro con Cio Cio San , primo omaggio a Puccini in questa stagione dell’Opera Carlo Felice di Genova, propone un percorso di conoscenza e di emozioni che va oltre quello destinato agli appassionati della lirica (e magari anche dei neofiti accorsi al richiamo di un classico che non si può ignorare): la “Madame Butterfly” diretta da Fabio Luisi conquista gli spettatori anche per la regia e le scene di Alvis Hermanis. Il direttore del teatro di Riga, che ha molti spettacoli di prosa al suo attivo, è già stato al centro di numerose polemiche, generate soprattutto per il suo anticonformismo politico. Sul fronte della lirica, qualche stagione fa, proprio alla prima della “Butterfly” diretta da Chailly, qualcuno gli aveva invece contestato eccesso di ossequio alla tradizione. Rivisto oggi garantisce quel rispetto del testo che fa parte della sua estetica , una godibilità molto apprezzata dal pubblico e anche un’elegante “modernità” libera da stereotipi, grazie a una scommessa tutt’altro che scontata sulla cultura giapponese.. Affrontando le note pucciniane e la lettura del libretto di Illica e Giacosa infatti, non cede a quell’esotismo che , quando si parla di Sol Levante, accompagna l’immaginario occidentale fin dai tempi della Compagnia delle Indie. Rende un autentico e sincero omaggio al Kabuki, con una declinazione della cultura teatrale giapponese che può essere vista in pochissime occasioni. Si tratta, è il caso di ripeterlo, di una rielaborazione e di un incontro, non di una utilizzazione “alla lettera” né di un approccio didattico. E’ una verifica importante, tuttavia. Proprio l’impatto con il prodotto di una cultura diversa, in questo capolavoro di Puccini , particolarmente attento a non fare clamorosi errori, di non cadere in e approssimazioni, ma spesso sottoposto a regie che hanno privilegiato l’eccesso di “melodramma” rispetto alla tragedia, è un’occasione per verificare la tenuta. Non parliamo ovviamente della musica, ma della storia della geiha -farfalla abbandonata da Pinkerton e della sua disperazione.
Considerato in Giappone, come si sa , più polare del NO e anche più facilmente plasmabile su un ventaglio di emozioni sentimentali, lo stile del Kabuki adottato da Hermanis si sposa bene con l’impatto devastante dell’incontro. Nel kabuki ogni scena è un quadro è la scommessa qui sta ovviamente nel fluidificare anziché cristallizzare questi fotogrammi. Tutto avviene con avvincente pulizia formale anche grazie all’invenzione di uno sdoppiamento della protagonista con le danzatrici che ne rendono visibili i sentimenti dietro un gioco di pannelli di carta di riso.
Se il trucco e i costumi di molti spettacoli kabuki sui quali lo spettatore occidentale ha avuto occasione di informarsi sono caratterizzati da colori accesi , qui si preferisce una delicatezza acquarellata che sfuma dal niveo al ciliegio, accordando la psicologia e i caratteri al variare delle stagioni che scandiscono inesorabilmente l’attesa di Cio-Cio- san . Nella distribuzione dei ruoli, trattandosi di lirica, contano ovviamente le voci non le rituali codificazione di genere legate alla cultura giapponesi ma non questa curiosità filologica ad avere importanza: semmai una lettura registica che accorda stilizzazione e passione alla sensibilità contemporanea, usando gli “effetti speciali” della tradizione.