Francesca da Rimini, Pia de Tolomei, il Conte Ugolino. E le “comparse”?
Come ha ricordato il professor Roberto Trovato in apertura del decimo Actors poetry Festival, organizzato a Genova dalla Gag nel Chiostro di San Matteo e nel Museo diocesano fino al 12 settembre, la Divina commedia ha offerto molti spunti alle tragedie: da Silvio Pellico a Carlo Marenco, per non parlare più tardi di D’Annunzio.
Le grandi protagoniste d’antan, da Adelaide Ristori a Eleonora Duse o i mattatori come Gustavo Modena, si sono misurati con personaggi trasferiti dai canti a una dimensione di stampo melodrammatico più popolare. Anche nelle letture passate alla storia del teatro sono rimasti nella mente per lo più i protagonisti.
In questi appuntamenti messi a punto con regia di Daniela Capurro, invece, anche i dannati e i beati meno famosi acquistano un posto di primissimo piano: a partire dai diavoli di Malebolge, stregonescamente e corposamente riletti da Francesa Laviosa (nella foto) attrice genovese che si è formata allo stabile di Palermo e nella compagnia di Emma Dante, ma anche con Roberta Barbieri, Alice Pagotto, David Meden, Stefano de Sando e con il giapponese Hal Yamanouchi autore e attore di una straordinaria rivisitazione del Paradiso da parte del teatro No.
Tra le anime nere meno familiari al cosiddetto “immaginario popolare”, forse perché trascurate dal teatro ottocentesco, c’è Branca Doria, governatore del Logudoro e potente in Sardegna dopo aver assassinato il suocero Michele Zanche nel 1275 e collocato da Dante nel fondo dell’Inferno quando era ancora in vita.
L’actors Poetry festival lo ha riportato alla ribalta nel suo palazzo e chissà che la sua anima nera, con l’ostilità di Dante nei suoi confronti attribuita da storici come Foglietta anche a risentimenti personali, non offra altri spunti di riflessione storica e artistica.
“Che senso ha per noi tutto questo?” Si era chiesta Paola Bigatto al momento di organizzare, con Carla Peirolero ed Enrico Campanati, l’approdo di Dante al Suq?
La risposta a questa domanda è “Il mio canto libero” che il 28 agosto debutta al Porto Antico di Genova. In un mare di celebrazioni che, in Italia e nel mondo, hanno declinato i settecento anni della morte del poeta in conferenze, spettacoli, digressioni pop fumettistiche o pubblicitarie, il nuovo spettacolo-evento affronta la Divina Commedia, oltre che in italiano, in genovese, arabo, spagnolo e latino.
L’arabo era la lingua più diffusa nel Suq 23 anni fa quando la manifestazione fu ideata, con una forte presenza di immigrati tunisini e marocchini . Merita una presenza consistente anche se Dante è conosciuto ormai in tutta l’Africa. Un esempio: di recente, un professore universitario del Burkina Faso ha chiesto di tradurgliene alcuni passi in Bambara a un’attrice “di casa” nel mercatino delle culture, Wintou Ouattara, già protagonista convincente della pièce “Da madre a madre”.
Lo spagnolo Che gli spettatori ascolteranno non è il castigliano ma quello che si parla in America Latina, famigliare alla comunità dell’Equador, oggi la più numerosa a Genova.
Non manca il genovese e dimostra che il rispetto delle radici non va coltivato con discriminazioni al contrario.
A proposito del Latino: sale alla ribalta perché il padre nel nostro volgare lo usa nel redigere i documenti, incluso quello che riguarda il suo esilio da Firenze, e qualche straniero (e italiano distratto) avrà il piacere di sentirne la pronuncia nella nostra lingua la più vicina all’originale. Una rarità visto che in negli spot televisivi ormai imperversa quella all’inglese (plus che diventa plas e altre involontarie comicità).
Carla Peirolero e Paola Bigatto, che nel 2005 aveva già avviato un esperimento multi linguistico e multietnico su Dante alla Biblioteca Berio, utilizzando anche le traduzioni del fondo Mackenzie, hanno già sperimentato a contatto con gli stranieri immigrati gli ingredienti che li incuriosiscono e conquistano: <La grande metafora del viaggio , dentro se stessi e in un mondo ultraterreno dicono- Ha grande presa anche la musicalità delle terzine anche se, su questo fronte, la fatica dei traduttori è spesso improba e molto si perde. D’altra parte, anche Shakespeare in tutte le altre lingue non suona come in Inglese. Non dimentichiamo – aggiungono – che, per molti, Dante è il simbolo delle lotte contro le oppressioni>. Del resto, anche in Europa, proprio questa caratteristica contribui alla sua rivalutazione in epoca Romantica e Risorgimentale dopo dopo le precedenti incomprensioni tranchant di Bembo e di Voltaire.
“Il mio canto libero”, accompagnato dalla cantante Esmeralda Sciascia e dal chitarrista Marco Cravero, dopo un prologo confidenziale e scherzosamente “Conviviale”, alterna i brani preferiti da ciascun interprete: da Paolo e Francesca recitato in genovese da Bianca Podestà a “ Dante e Beatrice” evocati da Paola Bigatto, da Ulisse in arabo di Habderahim El Hadiri al Conte Ugolino di Campanati ( <Si poteva pensare che Enrico rinunciasse a questo monologo?> commenta scherzosamente Carla Peirolero che promette ripetere la considerazione in scena), alle peregrinazioni ripercorse in spagnolo da Alberto Lasso.
Il pubblico farà la sua parte. Ogni spettatore infatti è invitato a portare sul palco la sua terzina preferita e si andra avanti fino a un coro certo trascinante, sulle note del “Canto libero” di Lucio Battisti.
Questo spettacolo sta nel mezzo di un cammino che si divarica in due strade. Da un lato c’è la quella che la fama di Dante ha già percorso in tutto il mondo grazie alla Società Dante Alighieri e ad associazioni locali di alto livello culturale.
L’altra via è fatta di approcci avviati, sempre all’estero, cercando un impatto più popolare , come ha fatto nel 2019 , “Il cielo sopra Kibera ” ovvero la Divina Commedia nello slum di Nairobi, Martinella, regista del Teatro delle Albe.
Perché “Il mio canto libero” può vantare una propria originalità rispetto a tutte queste esperienze? <Perchè unisce nell’ascolto non soltanto italiani e stranieri ma stranieri con diversi livelli di istruzione: gli intellettuali , quelli che sono completamente digiuni di letteratura e i giovani immigrati di seconda generazione che contano su una conoscenza di Dante già avviata nelle nostre scuole>.
Per tutti inutile dirlo, si conta sul comune denominatore dell’emozione.