SAN CASCIANO DEI BAGNI – Le avevamo lasciate immerse nei chiaroscuri e nelle ombre magiche e trasognanti che tratteggiavano tremolanti la figura di Azzurra di Montebello nel loro “Born ghost” che avevamo visto all’interno della rassegna “Forever Young” alla Corte Ospitale. Sta tutto dentro al loro nome, un nome fatto di nodi e snodi, di possibilità e deviazioni liturgiche e dialettiche: Coppelia Theatre, all’anagrafe la costruttrice di pupazzi, scenografa e visual designer Jlenia Biffi e l’attrice e autrice Mariasole Brusa. Coppelia rievocando il personaggio, inquietante e terribile, protagonista dell’“Uomo della sabbia” di E.T.A. Hoffmann dove il sogno, l’incubo e l’automa si fondono in una marmellata inscindibile di sensazioni, ritorni, ambientazioni dark e simboliste. Una compagnia che ha una decina d’anni nata dopo che la Biffi aveva trascorso quattro mesi in Siberia, precisamente nella città di Tomsk, geograficamente sospesa tra Kazakistan e Mongolia, apprendendo le tecniche delle marionette da polso dal Maestro Vladimir Zakharov, burattinaio che ha miscelato ingegneria e teatro di figura, purtroppo deceduto tragicamente tentando di salvare i suoi burattini da un incendio che aveva colpito il suo teatro, il 2KY Theater, e laboratorio dove li forgiava e dove prendevano vita: un’esistenza epica, un finale drammaticamente teatrale.
La tecnica delle marionette da polso è complessa e affascinante perché riesce a coniugare l’ingegneria robotica alla scena, la biomeccanica all’umanità, la scienza al tatto, la macchina ai sentimenti umani: delle protesi al polso raccoglie i movimenti del manovratore che ha impegnate, con grande sforzo e concentrazione, tutti i muscoli, tutte le dita delle mani. Zero elettronica ma soltanto piccoli impercettibili e lievi tocchi, soffi con i polpastrelli che muovono otto binari di fili, che riportano al personaggio, alla marionetta, tutta la sensibilità dell’attore: il mignolo movimenta gli occhi, l’anulare l’apertura della bocca, l’indice e il medio le gambe, il pollice la chiusura delle palpebre e il movimento laterale della testa. I gesti così diventano fluidi, non scattosi né meccanici, realistici, vivi “perché raccolgono la “sporcizia” del manipolatore” donando quella patina di imperfezione che rende l’uomo così dissimile dal robot. Due gli elementi centrali: la sensazione di vita e quella del peso, della gravità, che riescono ad unire e fondere la poesia con la tecnologia, rendendo la seconda più terrena e soffice e restituendo al pubblico un burattino non stereotipato. Il risultato è la fiducia che l’impatto con queste piccole macchine con il cuore riesce a far sbocciare negli spettatori di ogni età. Per questo il lavoro attoriale, fatto di complessità tecnica ma anche di versatilità scenica, è di fondamentale importanza. Coppelia si può tradurre nel motto della compagnia: Arte e Tecnologia.
In questi anni Coppelia Theatre è stata ospite in prestigiose rassegne internazionali come Avignone Off o il “Babkarka Bystrica” in Slovacchia, il “Festival Valise” a Lomza in Polonia, il “Bristol Festival of Puppetry” in Gran Bretagna, il “Festival Asile 404” a Basilea, il “Zone Puppet Theatre Festival” proprio a Tomsk in Russia da dove tutto è partito, il “Festival der Gelegenheiten” a Berlino. Oltre che, tra i tanti italiani, citiamo “Mirabilia” o “Arrivano dal mare”, “VolterraTeatro”, “Mercantia” o “Kilowatt”. Ed anche i premi e i riconoscimenti sono arrivati copiosi, ottenuti con le loro produzioni, “Trucioli”, che ha raggiunto le 450 rappresentazioni e che abbiamo avuto modo di poter seguire all’interno del loro laboratorio in una replica speciale, “Star Hunter”, “Born Ghost”, che ha vinto il Bando ERT e finalista al “Forever Young”, “Chimera/Sirene” che avrà la voce di Michele Di Mauro che leggerà poesie di Dino Campana che ci condurrà dentro l’ontogenesi di una donna pesce dalla nascita fino alla sua morte, vincitore del bando internazionale “Giovani artisti per Dante” promosso da Ravenna Festival, “Witchy Things” sull’identità e gli stereotipi di genere, finalista Premio Scenario Infanzia ’20 e vincitore del “Premio Internazionale Narrare la Parità”, o con “The Creature”.
L’artigianato e la creazione sta alla base di ogni loro progetto: meccanismi e ingranaggi, ali giganti o teste di mostri, trampoli o maschere in 3D, per una gestazione che nasce da un’intuizione passa alle mani per poi tradursi in oggetti che, toccandoli, si ha la netta sensazione che abbiano un’anima, un trasporto, un’alchimia profonda, pensata e solida. Dalla piece “Clockwork Metaphor”, la metafora delle molle, con l’attrice Ilaria Drago e la regia di Marta Cuscunà, basato sulla pittrice spagnola surrealista Remedios Varo, sono nate due “costole” per spazi non teatrali, piccoli cammeo: “Trucioli” e “La cacciatrice di astri” di dieci minuti l’uno. L’idea è quella del teatro da camera di Guido Ceronetti, per creare luoghi dell’anima, intimi, per poche persone vicine dentro allo stesso sogno colorato e fantastico nella sua accezione più alta. “Trucioli” è ispirato all’opera “La creazione degli uccelli”, quadro della metà degli anni ’50 del secolo scorso della Varo che, non a caso, era figlia di un ingegnere idraulico, vissuta tra la Parigi di Breton, Barcellona e Città del Messico dove, era inevitabile e sarebbe stato impossibile il contrario, entrò in contatto con Frida Kahlo. Il quadro della pittrice spagnola, che si rifaceva a Bosch, vede una donna che macina stelle per imboccare e alimentare una Luna in gabbia condizione dell’autolimitazione della donna da una parte e dall’altra la donna di casa che ripete sempre gli stessi gesti.
Un teatro nel teatro perché il piccolo impianto nel quale si svolge la vicenda è un teatrino da wunderkammer, capolavoro metafisico e patafisico, un sipario a metà tra una bocca di squalo e una volta celeste stellata dove al suo interno, immersa da mini luci coperte da conchiglie, una creatura ancestrale ibrida tra donna e civetta si muove con disinvoltura dipingendo, creando e distruggendo la propria arte. Usa il pennello come se fosse un plettro e ha appeso al collo un violino e, disegnando, macera e macina miscelandoli, i colori ciano, magenta e giallo, per produrre la sua personale creazione del mondo. In miniatura è ricreato uno studio, un laboratorio fatto di tavoli ed inchiostro, di orologi e calamaio, di nuvole e occhi che si rincorrono, un opificio che tutto trasforma, tra fumi e fiamme in una magia senza età che colpisce e cattura la curiosità. I movimenti rapiscono e si perde il senso del tempo, ci si concentra su un particolare che un altro ci illumina e ci abbaglia, ci porta lontano nel tempo, quello interiore personale anagrafico, come quello dell’Uomo con la maiuscola che, tra questi piccoli grandi colpi di genio, ci fanno sciogliere e liquefare tornando all’essenza di ciò che eravamo, di quello che, sotto le sovrastrutture ancora siamo: corpi magnetici in grado di meravigliarci.