Da Catania a Salisburgo, una «legnosa», intraprendente, appassionata “intérmittence du coeur”. Ai piedi dell’Etna gli eleganti e impavidi pupi dei Fratelli Napoli, sulle rive della Salzach le tenere e sontuose marionette del professor Anton Aicher. Sono loro le affettuose e ammiccanti «cugine prime» dei pupi.
Siamo al Marionetten Theater di Salisburgo (quello che era un tempo il Mirabell Hotel oggi è un delizioso teatro di poco più di trecento posti, l’ideale per spettacoli che vanno in scena per almeno trecento giorni all’anno) tra il Mozarteum ed il Landtheater.
- in fondo «figlio naturale» di Mozart, il «Marionetten Theater», spiritualmente e geograficamente vicino alla sua dimora stabile, la Wonhaus.
Varchi la soglia e come dalla porta di Alice (quella che dà sul giardino con la bottiglietta con su scritto “Bevimi” evia con le trasformazioni) e sei in un altro mondo. Prima d’imboccare la sala, un percorso segnato da una quantità di creature rosate e bistrate prigioniere di fili delicatamente proteiformi: Don Giovanni, Figaro, il principe Orlovskij, Hansel e Gretel, Papageno, la Regina della Notte…Spalanzani e Olympia sono già dietro le quinte, hanno dato la “mezza” per «Les contes d’Hoffmann», ottava meraviglia di teatro in musica a cui le marionette, dotate – come i pupi – di infinite possibilità “realistiche”, rendono giustizia, complici le voci «divine» di Placido Domingo e Joan Sutherland. E infatti in questo caso la locandina è doppia: a sinistra le voci, a destra le anime (e le braccia umane e l.umano ingegno) delle marionette.
In scena – e così accade ai pupi dei Napoli – la cinetica delle marionette è inevitabilmente «impressionata» dal movimento umano d’oggi: Spalanzani, per esempio, si muove da vero attore biomeccanico… Il «Coppelius» delle Marionette di Salisburgo fu il professor Anton Aicher, uno scultore che mandò in scena le sue creature per la prima volta in assoluto nel 1913 con un.opera di Mozart, nemmeno a dirlo, «Bastien und Bastienne». Qualche mese più tardi, in ottobre, il professore otteneva in affitto la palestra del seminario arcivescovile Borromeo: fu quello, in Dreifaltigkeitsgasse, il suo teatro per quasi mezzo secolo. In scena, opere in musica, certo, ma anche storie di fate, storie per bambini e vecchie leggende tedesche finché, nel 1926, al figlio che sposava un giovane soprano, il professor Aicher fece un singolare e per certi versi prelibato regalo di nozze: la direzione del teatro a cui Aicher figlio apporterà innovazioni dovunque, al palcoscenico, all’impianto luci, al repertorio. La collaborazione con l’Accademia del Mozarteum, poi, diventerà imprescindibile. Tra le Marionette ne arrivò addirittura una, nel 1936, che era la copia perfetta della Pavlova nella “Morte del cigno”, nulla a confronto all.intero “Schiaccianoci” che avrebbe calcato le scene vent’anni dopo.
«Marionetten» politicamente impegnate e socialmente utili. Nella Seconda Guerra, la Compagnia di legno del «Theater» si sposta al Fronte: prima in Norvegia poi in Polonia, Russia, Romania. Nei primi Anni Settanta, infine, il Teatro guadagna la sede in cui ci deliziamo oggi: dietro le quinte lavorano dodici marionettisti – dotati di musicalità, abilità manuale e talentaccio d’attore muto ma capace di empatizzare stanislavskianamente con gli eroi di legno – e ben 500 marionette, un «cast» enorme di cui una produzionepuò «impiegare» da 20 a 60 esemplari. Laboratori continui per gli umani, tournée internazionali per le marionette, da 60 a 100 spettacoli all’anno.
In sala, le pile di cuscini sono già pronte per i bambini anche se, dal botteghino in avanti, la processione scoppia letteralmente di bambini “travestiti” da adulti. Un’infinità. Ogni sera il «tutto esaurito». Sorpresi? Perché mai? Sotto al vulcano ci sarebbe (condizionale disperato) la medesima situazione se ci fosse (congiuntivo fortemente desiderativo) un Teatro stabile anche per i «cugini». I pupi dei Napoli, insomma.