Un’aura crepuscolare innerva le belle regie di Filippo Dini. Schivo, determinato, riflessivo, ha sviluppato un percorso avvincente e originale zigzagando tra drammaturgia contemporanea e classici, saviamente adattati. Dini carica di senso il proprio lavoro sia nelle scelte dei testi sia nel cesello della messinscena, che trabocca una lieve sofferenza, ma l’atto creativo è doloroso. Genovese di nascita, dal 2021 è regista residente al Teatro Stabile di Torino dove, nelle ultime stagioni, ha diretto e recitato “Casa di bambola” di Ibsen, “The Spank” di Hanif Kureishi, “Ghiaccio” di Bryony Lavery e “Il crogiuolo” di Arthur Miller. Regista ma anche attore, con un prezioso aiuto regista e una squadra di colleghi compatta e affiatata, l’artista sviscera i rapporti di coppia, nell’inesausto e misterioso conflitto tra coniugi, nella critica alle etichette borghesi o si immerge nelle profondità dell’animo umano per indagare l’indicibile della ferocia omicida, lasciando però spiragli di rinascita, di riscatto, che balenano spesso nei suoi lavori. E nonostante i temi urticanti Dini riesce a parlare a tutti, con un teatro radicato sugli attori e la recitazione, con un linguaggio al contempo intelligibile, immediato, ma disseminato di segni, molti tasselli di un discorso che si riverbera, amplificando la portata delle opere, popolare in senso nobile, soprattutto aperto alla molteplicità di interpretazioni del grande pubblico. Che Dini, senza blandire, sa conquistare.
Napoli, 14 novembre 2022
Il presidente ANCT
Giulio Baffi