Il coreografo ungherese Josef Nadj, con il progetto coreografico OMMA, punta lo “s” guardo verso le origini dell’umanità. Dal greco antico i a l o m m a = relativo all’ OCCHIO, è uno dei simboli più usati dagli antichi greci. Era l’occhio apotropaico, aggettivo che significa, in grado di tenere lontano la malasorte. I Greci non mancavano mai di fregiare le prore delle navi con gli occhi, chiamati oftalmoi, protettori delle barche e dell’equipaggio contro la sfortuna, oppure antropomorfica, in quanto, per i marinai superstiziosi, la barca era considerata quasi come un essere vivente, che dunque aveva bisogno di OCCHI, per guardare il cammino in mare davanti a sé.
La scrittura coreografica di Nadj, presentata già, in Prima italiana alla Biennale Danza di Venezia, nel 2021, si colora di magia rituale e fascinazione, nella cornice dell’anfiteatro, en plein air, dell’Arena Shakespeare, nel contesto della programmazione estiva del teatroDUE di Parma.
Un gruppo di otto danzatori provenienti da svariati Paesi, Mali, Senegal, Costa d’Avorio, Burkina Faso e due Congo, insieme formano un unico corpo, che punta l’occhio alle origini dell’umanità, alla mather TERRA Africa, e lo fanno vestiti con abiti occidentali, giacca e pantaloni, per cercare sotto pelle, under skin, il trait d’union, che lega l’essere umano ad ogni storia simile alla propria in cui ri-trovarsi.
Josef Nadj, scandaglia e conduce i suoi danz-attori, propri di vocalizzi e ritmi e suoni prodotti dai corpi, in un viaggio in cui la metamorfosi della danza corale ed individuale, si rende cellula pulsante e primordiale , di un possibile nucleo d’origine del movimento stesso, flusso che invita a rimanere vigili attenti e partecipi di un evento che CI appartiene e rispecchia, continuando a tessere quel fil rouge che sgorga dalle bocche dei danzatori, al termine dello spettacolo, come oggetto simbolico di continuità tra la vita e la morte, tra eros e tanathos.